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Lara Simonaitis

Appunti di un volontario al servizio dei Beni Culturali

May 25, 2017

Appunti di una volontaria al servizio dei Beni Culturali

Lara Simonaitis

 

Sono nata in Umbria, ma il mio legame con le Marche è indissolubile, geneticamente (da parte di madre), culturalmente (ho studiato all’Università di Camerino e in seguito all’Università di Macerata) e socialmente (molti miei affetti si trovano lì).

Le prime scosse di agosto mi colpiscono immediatamente al cuore, e per la paura provata in prima persona e per le notizie sopraggiunte riguardanti il territorio di Ascoli Piceno, città che amo e ho amato profondamente durante i primi anni di università passati lì a studiare Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali. La preoccupazione è grande, ma la tipica tenacia marchigiana ha immediatamente preso il sopravvento e vedo con i miei occhi quanta voglia c’è di non lasciarsi abbattere, di non abbandonare quel territorio ferito, di non piangere su quel travertino squarciato. Arquata del Tronto non può e non deve morire. Il territorio ascolano non deve soccombere. E a testa bassa queste genti hanno fatto fronte all’emergenza con una dignità senza pari.

Ma il cuore è corso anche ad un’altra città, che mi ha fatto immediatamente innamorare di lei: San Ginesio. Come sono approdata in questo meraviglioso e sperduto “Balcone dei Sibillini”? Il destino ha voluto che vincessi la borsa di studio per un progetto di ricerca dell’Università di Camerino e che la città pilota da prendere in esame fosse proprio San Ginesio.

Chiamo il Sindaco, la città è ammaccata ma in piedi. “Meno male” penso, “non vedo l’ora di tornare”.

Ma il sollievo non dura molto e le terribili scosse di ottobre feriscono a morte l’Umbria e le Marche, creando un dedalo di zone rosse nel cuore della nostra bella Italia, come macchie di sangue che parlano di distruzione. Quella domenica mattina del 30 ottobre sento innumerevoli voci dire “Il nostro paese non c’è più” e la tristezza che provo è incalcolabile. Mi sento impotente. Vorrei essere

utile, vorrei fare qualcosa, scalpito. Il 7 novembre accedo a Facebook e leggo l’appello della Rete Museale dei Sibillini: “ABBIAMO BISOGNO DI PERSONALE ALTAMENTE SPECIALIZZATO PER AFFRONTARE QUESTA EMERGENZA: STORICI DELL’ARTE, ARCHITETTI, RESTAURATORI, CONSERVATORI, OPERATORI MUSEALI. AIUTATECI A SALVARE IL NOSTRO PATRIMONIO ARTISTICO IN QUESTA LOTTA CONTRO IL TEMPO”. Non esito. Immediatamente vengo ricontattata; scopro che lavorerò con il Gruppo Protezione Civile Legambiente Beni Culturali Regione Marche e che il mio primo giorno sarà a… San Ginesio! Quasi non riesco a crederci e sono emozionata al pensiero di poter aiutare quelle persone che tanto amorevolmente mi hanno accolto, primo fra tutti il Sindaco, e poter mettere in salvo un patrimonio artistico che conosco e ho ammirato.

Con il sostegno del mio responsabile di Unicam, il prof. Marco Giovagnoli, il 15 novembre arrivo a San Ginesio e mi imbatto immediatamente in un clima frenetico. Nulla è fermo e abbandonato, tutti si danno da fare per ripartire. Incontro il sindaco, il vicesindaco e molte altre persone conosciute durante la ricerca, che mi salutano con calore e mi ringraziano per l’aiuto che sto portando. Come non sentirsi fieri e motivati?  Appena arrivati Vigili del Fuoco, funzionari del MiBACT e Carabinieri del TPC cominciamo subito le operazioni. Tutti i volontari lavorano a testa bassa. Non c’è tempo di chiacchierare, di distrarsi; le opere escono dalla Chiesa ferita una dopo l’altra e hanno bisogno di essere liberate da polvere e calcinacci, di essere consolidate, imballate, schedate e caricate per essere messe in sicurezza. E sono davvero tante. Alla fine del 2016 si contano oltre 1350 opere messe in sicurezza e c’è ancora molto, molto da fare.

I momenti di condivisione arrivano all’ora di pranzo, tutti insieme alla mensa che solitamente gestisce l’Esercito e che accoglie noi, la Protezione Civile, la Croce Rossa, i Carabinieri, gli Alpini e chiaramente i civili terremotati. Tutti insieme a condividere quel pasto e quei sentimenti di tristezza e di tenacia allo stesso tempo.  Parlando con la gente e con i miei nuovi compagni scopro che l’umore è in realtà alto. Il gruppo, la comunità, creano una forza straordinaria e si guarda già al futuro. Nessuno si piange addosso e la determinazione è tangibile. Bisogna ripartire.  Scopro anche che tutti i miei “compagni di viaggio” sono perfettamente in linea con le mie idee, con il mio sentire e si parla, con entusiasmo e voglia di fare, di tutto ciò che riguarda il salvataggio del patrimonio artistico della regione. C’è una grande passione che circola nel gruppo, una grande determinazione, professionalità e umiltà. Grande voglia di collaborare e di fare le cose bene.

Nessuna primadonna, nessuna smania di emergere, nessuno che sgomita per farsi notare. Non c’è bisogno, non serve. Ci si coordina, si crea una vera e propria “catena di imballaggio” e si sorride passandosi lo scotch, che magari si rompe! Ci si guarda con soddisfazione alla fine di un lavoro ben fatto e ci si mette in posa tutti insieme per la foto di rito, una grande fila di caschetti gialli che ormai tutti riconoscono.  Un copione che si ripete ma che ad ogni “messa in scena” acquista nuovi dettagli ed elementi.  Cambia la scenografia, ma l’entusiasmo degli attori non muta. Ogni giorno luoghi nuovi: Visso, Gualdo di Macerata, Castelsantangelo sul Nera, Caldarola, Matelica… Questi i luoghi nei quali ho avuto occasione finora di lavorare. E l’atmosfera non cambia. Le belle giornate di sole, in particolare, creano un effetto straniante nel silenzio delle zone rosse svuotate, devastate… Ma in qualche modo questi luoghi sprigionano un’energia, una vitalità che si può percepire solo stando lì.

Quello che passa attraverso gli schermi non rispecchia affatto ciò che si sente sostando tra le macerie e gli edifici feriti ma ancora in piedi. La storia che pervade queste pietre si fa sentire forte e chiara e ci chiede di non abbandonare i borghi colpiti dal terremoto. Nonostante tutto, la bellezza c’è ancora ed è viva. E questo gli abitanti lo sanno e lo gridano a gran voce. Sono stati allontanati,

sì, ma il loro territorio non lo vogliono abbandonare. Il loro patrimonio artistico stesso deve restare e non fuggire chissà dove. L’arte in questi momenti di emergenza può apparire “superflua”, ma la gente non è questo che pensa. La gente sa che i beni culturali rappresentano la propria identità e non ci vuole rinunciare. I sindaci della Marca Maceratese si sono già mossi in questo senso firmando un manifesto in cui si chiede di non “deportare” le opere fuori dai territori d’origine, tentando invece di restaurarle e metterle in mostra più vicino possibile ai luoghi ai quali appartengono. Sono questi dei gesti d’amore autentico nei confronti della propria memoria, dei propri simboli e del proprio mondo.

E nonostante sia poca la gente del posto che riusciamo ad incontrare, proprio perché le popolazioni sono state in gran parte allontanate dalle zone rosse, mi viene in mente un episodio che mi ha fortemente colpito e commosso. Durante i recuperi effettuati a Visso incontriamo un omino che, accompagnato dai Vigili del Fuoco, riempie la sua vecchia auto con ciò che riesce a recuperare dalla sua abitazione devastata… Un carico di affetti e ricordi costituito dagli oggetti più strani e disparati: un vaso di gerani,

l’Enciclopedia Treccani e chissà cos’altro. Vedendoci indaffarati ad imballare le opere con pluriball e tessuto non tessuto si sofferma ad osservarci curioso. Lo incontriamo di nuovo alla mensa dell’esercito e scopriamo che non è altri che il custode del Museo dei Manoscritti Leopardiani, preoccupato perché nel bookshop della struttura devastata sono rimasti molti oggetti: t-shirt, cartoline e così via. Gli promettiamo così di aiutarlo e di recuperare tutto prima che arrivi il brutto tempo. Felice della nostra promessa ci fa immediatamente un dono, che certamente custodiremo gelosamente: una copia ciascuno del manoscritto dell’“Infinito” di Leopardi. Come non emozionarsi per un gesto così spontaneo e ricco di significati? Questo è il senso dell’attività che stiamo svolgendo. Avere cura della bellezza in pericolo, della memoria identitaria di un territorio che ha in se molti mondi diversi e unici, della gente che ama queste opere e le sente sue, di un’economia martoriata che può ripartire da qui… Del cuore d’Italia che non può e non deve morire.

C’è ancora molto, moltissimo da fare. L’emergenza è tutt’altro che finita.__

 

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